Malfy Gin intervista Ambrogio Ferraro, bartender de Bar is The Name a Busto Arsizio


La Passione per la Mixology: Un Viaggio Personale
Continuano le interviste di Malfy Gin ai bartender di tutta Italia.
In questa intervista Ambrogio ci racconta il suo percorso e la sua visione del mondo della mixology.
Curios*? Ecco a te l’intervista completa, dove potrai scoprire anche consigli su misura per cimentarsi a casa nella preparazione di cocktail con Malfy Gin.

Come ti sei innamorato del mondo della Mixology? Come hai iniziato la tua carriera come bartender?
Allora, è molto interessante in realtà, perché io ho incominciato in Svizzera a 16 anni in un bar di un hotel, non come bartender ovviamente, ma come cameriere, da lì poi ho visto la realtà del bar, che mi è sempre piaciuta, ma non mi ha spinto ad appassionarmi al cento per cento, sono quindi andato alla ricerca di quello che mi più piaceva, in giro per l’Europa, sono stato a Londra, sono passato in Germania, sempre nella ristorazione, sommelier, room service, ma mai nel mondo del bar nel senso stretto del termine.
La mia ispirazione nasce semplicemente dalla mia voglia di studiare distillati, prodotti, provenienze, ho incominciato ad avvicinarmi alla miscelazione fino a quando a Londra nel 2014 sono andato all’Artesian per la prima volta, che a quei tempi era il bar migliore al mondo e da lì è iniziata tutta quella che è la mia visione del mondo del bar.
La cosa particolare è che io non ho un mentore, quello che so è un insieme di studio sui libri e internet, ormai la tecnologia è tutto e ad oggi il bartending è il mio mondo.
Quindi se dovessi decidere qual’è la tappa all’interno del tuo percorso nella quale ti sei detto ok da oggi sono bartender?
Sicuramente quando l’Artesian ha vinto il premio come miglior bar al mondo!
Io, ragazzino di 18 anni, che non è mai finito fuori dai binari dal tragitto casa-lavoro e che non aveva mai vissuto Londra nella sua totalità, prendere la decisione di andare in un hotel a 5 stelle per bere un drink…sicuramente penso che sia stato proprio il momento in cui si è accesa la scintilla.
I passi successivi sono avvenuti tutti molto lentamente in realtà, perché dopo il 2014 sono andato a fare o tutt’altro, però mi è sempre rimasto il pallino.
Com’era respirare l’atmosfera del Langham Hotel nel 2014?
Si vedeva proprio che erano i primi passi, cioè che lì era l’inizio: in quel momento la nuova visione del bar si andava plasmando per come la conosciamo oggi.
È stato il mio inizio, anche se è quasi riduttivo definirlo così. Poi sicuramente già esistevano capi saldi come Salvatore Calabrese e altre figure imponenti del mondo del bar, ma a mio parere è da li che è iniziata la vera e propria creatività.
Tra forma e contenuto: quanto è importante il mood e l’ambiente del tuo locale nel processo creativo?
Sono importantissimi, non puoi creare qualcosa se non fa parte del tuo essere che non ti appartiene, di quello che vuoi fare realmente. Prima di mettersi a inventare un cocktail bisogna effettivamente chiedersi cosa ci piace, cosa che ci appassiona, qual è la nostra idea e poi dopo da lì spostarsi anche sulla creatività che può derivare dal luogo di lavoro.
E nel tuo processo creativo viene prima quello che è la forma oppure il contenuto?
La forma, senza il minimo dubbio. Mi piace descrivermi come una persona a cui importa al cento per cento del contenuto, ma non che un cocktail evochi delle emozioni in chi lo beve.
Anche nel mondo dei cocktail si parla di sostenibilità; ti è mai capitato di assaggiare o di creare un cocktail sostenibile?
A parere personale negli ultimi anni ce lo siamo chiesti tanto, tutti, forse anche troppo, fino ad arrivare un po’ all’esasperazione di quello che significa realmente sostenibilità.
In questi 3 anni di attività ho creato veramente tanti cocktail sostenibili, partendo da presupposti molto semplici come: la sostenibilità non è il saper riutilizzare 1250 volte lo stesso ingrediente, ma è nel concreto creare qualcosa che vada a sostituire un ingrediente che potrebbe essere dannoso per l’ambiente oppure per la stessa attività. La reale sostenibilità è basata sulla collaborazione di noi enti ristorativi.
Se dovessi identificare la sostenibilità qui al tuo locale in un elemento, che cosa l’identificheresti?
Darci valore, dare valore a noi come host, dare valore ai clienti come guest e dare valore alle nostre materie prime che utilizziamo giornalmente.
Se potessi fare un solo cocktail per il resto della tua carriera, quale sarebbe? E come mai?
Su questo bisogna pensarci un po’, ti ne dico uno che è il Corpse Reviver, è il cocktail che ha segnato tre volte la mia carriera:
– il primo cocktail che ho realizzato
– il cocktail che ho bevuto con i ragazzi che lavoravano con me quando ho lasciato l’Alsazia
– il cocktail che mi ha fatto perdere una competizione
Mi piace l’abbinamento, o meglio, il gioco che c’è tra agrume e assenzio visto che sono due ingredienti che normalmente non metteresti mai insieme. Se si è in grado di trovare l’equilibrio l’abbinamento risulta molto interessante: super contrastanti ma poi diventano omogenee.
Un cliente entra nel tuo locale: al “fai tu”, cosa fai davvero? Segui uno schema?
Qui da noi al Bar Is the Name abbiamo una grande fortuna, ovvero essendo un ambiente più vicino alla province che alla grande città le facce che vedi, dopo un po’ non dico che sono sempre quelle, ma quasi, riesci a creare una sintonia un po’ con tutti e a conoscerli anche sotto l’aspetto di quelle che sono le loro preferenze in fatto di bevuta. Uno dei nostri indicatori è la stagione in cui ci troviamo (cerchiamo di proporre sempre drink che si basano sulla stagionalità) dopo ho bisogno solo di capire facendo un paio di domande: strutturato o beverino? distillato preferito? cocktail preferito?
Però non è detto che io proponga una cosa completamente diversa, ma ci tengo a sottolineare che mi faccio molto veicolare dalla giornata, dalla temperatura, dal clima, da quello che è il momento.
Proprio perché il mondo della mixology è in continua evoluzione, come ti tieni aggiornato e dove trovi l’ispirazione per le tue creazioni?
Dire internet e social sarebbe troppo scontato, però sicuramente sono un grande punto di riferimento, ma semplicemente per capire se il mood che viviamo noi è il mood che vivono tutti.
Sono convinto che la risposta a questa domanda sia semplicemente il vivere la giornata e guardare in faccia i clienti, ascoltarli in quello che dicono e di quello che parlano. Sicuramente hanno influito le nuove leggi a livello dei tassi alcolici e la guida e questo dobbiamo usarlo come fonte di ispirazione, dobbiamo cambiare in base a questo.
Quindi più importanza al cliente che al trend generico, ogni realtà ha il suo trend.
Mocktail e Food Pairing: due dei trend che esistono nella mixology. Qual è quello che, secondo te, è qui per restare?
Allora i mocktail hanno un continuo che dura da anni, volente o non volente.
Noi adesso li stiamo cambiando ma sono sempre esistiti, magari in maniera non giusta, e continueranno ad esserci perché sono fondamentali per un’attività.
Il food pairing lo vedo in un futuro ma solo come evento, come realtà sporadica, come esperienza.
Non riesco a inquadrarlo come giornaliero e continuativo; vedo molta più continuità nel mocktail in food pairing. L’analcolico è molto più adatto per il fatto che il distillato scelto alle volte, non dico sempre, va ad estremizzare quello che è l’aroma che si vuole impostare, con l’analcolico te la giochi un pò più facilmente con quello che vuoi tu.
Parlando di Food Pairing: qual è l’abbinamento food-drink più sorprendente che hai sperimentato?
È incredibile secondo me che si parli di food pairing, ma si prenda in considerazione solo il piatto di uno chef. Il food pairing può essere fatto con tutto, anche con lo zucchero filato…piccolo spoiler è una roba che faremo! Quelle che secondo me sono più adatte, perché in realtà anch’esse sono delle miscele, sono le salse: ho fatto un Old Fashioned con della salsa teriyaki e l’edamame in sostituione dell’ oliva abbinato con un agnello che era laccato in salsa teriyaki. Per me il food pairing deve dare una continuità al piatto, non deve essere troppo lato opposto.
C’è un cocktail iconico che avresti voluto inventare tu? E come lo reinterpreteresti usando Malfy Gin?
Eh, questa è una domanda bella, però forse ti risponderei un bellissimo episodio tra un Naked and Famous e un Last Word, a me piace tantissimo il Naked and Famous, è un cocktail che secondo me mi dà tante sfumature e tanta complessità, è chiaro che se a questo Naked and Famous togliamo il mezcal e ci mettiamo un Malfy Gin con arancia, limone comunque agrumato, un agrume, riusciamo a dare ancora più sfumature, però preferisco sempre Apple rispetto a chi non ha la schiena, quindi tra Last Word e Naked and Famous, per me vince Naked and Famous, ma col Gin al posto del mezcal.
Originale, Con Limone, Con Arancia o Rosa: ne puoi scegliere uno solo. Quale e perché e mixato come?
Sempre per tornare al discorso di prima, se dovessi scegliere in base ai miei clienti andrei sicuramente su Malfy Rosa, perché ormai è incredibile, perché a noi italiani piace da matti il pompelmo, ma non il frutto, ci piace il sentore, l’aroma, ed è per questo che il Paloma secondo me è esploso, perché è buono il sentore di pompelmo, ma noi non siamo lì che ci smettiamo a spulciare il pompelmo giornalmente.
A livello di continuità personale, deve essere incisivo su una cosa, su una caratteristica precisa, e se io nel Malfy Gin originale già sento una bellissima nota di limone, e se tu me la accentui ancora di più…come Malfy Gin con limone, io viaggio alla grande!
Quando scelgo un prodotto, una materia prima, che in questo caso è il limone, la visualizzo in più (se possibile quasi tutte) sfumature, quindi in questo caso ti direi Gin Fizz usando Malfy Gin con limone, succo di limone, e poi magari farei una soda con tutto quello che è avanzato del mio limone, e accentuerei ancora di più quello che è sia la sostenibilità, sia ma anche tutte le sfumature di limone, 50 sfumature di limone. Bello, nuovo nome per il prossimo drink.
Malfy Gin è un omaggio ai sapori italiani. C’è un ricordo o un luogo in Italia che ti ha ispirato nella creazione di un cocktail?
Ti risponderei Campania, anche se non c’entra niente con la mia realtà, ma mia moglie è napoletana, e secondo me loro sanno proprio dare valore ai loro prodotti. Qui in Lombardia non ne siamo stati capaci durante gli anni, motivo per cui alcuni sono scomparsi.
Quando ci chiedono di creare un cocktail che abbia un legame con il territorio, tu puoi studiare e cercare nei libri quanto vuoi, ma veramente c’è poco; la cosa che ti esce prima è il mais, però non riesci più a dargli un’emotività perché in realtà non esiste più, era una cosa antica e ora hanno abbandonato i campi, sono tutti in periferia adesso, è un disastro. Ad un gin veritiero, un gin che tra tutti quelli creati e tutti quelli che sono in commercio si fa identificare, si è riusciti a dargli un’iconicità. Prima abbiamo parlato di questa parola, iconico, e secondo me il prodotto deve essere iconico perché il cliente deve effettivamente ritrovarselo in bocca. Se il gin è uguale o ha troppi aromi, perde poi il suo significato, lo puoi confondere con tutti.
Un segreto professionale da condividere, soprattutto per chi si cimenta nella creazione di cocktail a casa
Allora, questo è un segreto professionale da condividere, soprattutto per chi si cimenta nella creazione di cocktail a casa. Non sottovalutate i prodotti già fatti come biscotti, brioche o creme perché vi possono aiutare a dare un twist devastante ai vostri cocktail.
Se fossi nella dispensa della nonna e trovassi una bottiglia di Malfy Gin proverei a fare un classico white lady ma con il gin in infusione, con i biscotti, gli darei una nota dolciastra di forno (mi raccomando non sottovalutateli mai!)
Non sono un fan di prodotti troppo estremi, mi piace di più essere piacione 🙂